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Il Pianelli invece andava a spasso.

Scherzi a parte, quando fu sul ponte si domandò se aveva il coraggio di annegarsi nel Naviglio.

Aveva sofferto già abbastanza la mortificazione del pitoccare l’elemosina per sentirsi ancora la forza di affrontare lo scandalo di un processo per truffa e falso. Era già stracco, annoiato, nauseato della vita e della gente.

Si accostò al parapetto, fissò l’occhio nel biancheggiamento turbolento dell’acqua, che rimbalza e scaturisce dalla chiavica e manda tra le due portaccie del sostegno l’ululato d’una bestia feroce. A questo rumore si mescolava il friggìo dell’acqua, che traboccava dalle grondaie e ribolliva sul lastrico.

Tutt’insieme quell’acqua faceva uno scroscio ampio, assordante, che toglieva i sensi e la ragione. Egli e l’acqua erano già una cosa sola. Non aveva più un filo asciutto indosso. I panni gli si raggrinzivano sulle carni, le scarpette macerate zampillavano fontanelle, il cappello era una spugna. Si sentiva gonfia d’acqua la testa e l’anima.

Tratto da un impeto cieco di disperazione,