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che il signor pubblico è meno volgo di quel che l’interesse e l’ignoranza nostra s’ingegnano di fare.
Pubblicato in due giornali d’indole diversa, in due città poste quasi agli estremi d’Italia, — nell’Italia di Milano e nel Corriere di Napoli — questo Cappello del prete, senza nessuna delle solite basse transazioni, ma col semplice ajuto dei comuni artifici d’invenzione e di richiamo, ha ottenuto più di quanto l’autore pensasse di ottenere. I signori centomila hanno letto di buona voglia e, da quel che si dice, si sono anche commossi e divertiti.
Dal canto suo l’autore, entrato in comunicazione di spirito col gran pubblico, si è sentito più di una volta attratto dalla forza potente che emana dalla moltitudine; e più d’una volta si è chiesto in cuor suo se non hanno torto gli scrittori italiani di non servirsi più che non facciano di questa forza naturale per rinvigorire la tisica costituzione dell’arte nostra.
Si è chiesto ancora se non sia cosa utile e patriottica giovarsi di questa forza viva che trascina i centomila al leggere, per suscitare in mezzo ai palpiti della curiosità qualche vivace idea di bellezza che ajuti a sollevare gli animi.
L’arte è cosa divina; ma non è male di tanto in tanto scrivere anche per i lettori.