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rivedeva le case, le botteghe, la gente, i soliti amici, andava ricuperando anche il senso della sua vita solita.
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Prima di andare a casa, abbottonato bene l’abito fino al collo, volle fermarsi da Compariello, il liquorista frequentato dagli eleganti buontemponi in via Toledo, a bere un vermutte col seltz in ghiaccio.
Rimase un pezzo ad ascoltare le allegre cicalate del marchesino d’Usilli, direttore del veloce-club, grande maestro di barzellette.
L’Usilli, sapendo che il club della Fenice aveva pubblicato il nome del barone, lo trasse in disparte e gli disse sottovoce:
— Mi rincresce, Santa, che siano venuti a questo eccesso. Io ti ho difeso, ma hai avuto ventitrè palle nere contro dodici bianche. Vuoi un po’ di denaro per ritentare la sorte? fino a ventimila potrei trovartele e con poco interesse.
— Ecco gli animali! tutti mi offrono denaro, quando non ne ho più bisogno, — gridò Santafusca.
— Tu non avrai scoperta una miniera: so che ti trovi in seri imbarazzi, Santa. Abbi confidenza con un amico. È vero quel che si dice di te?
— Che cosa? — domandò «u barone» con voce alterata.