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intimidire ed hanno stabilito di chiedere al Re di Prussia l’impegno personale (che la candidatura del congiunto non sarebbe stata ripresentata), con lo scopo, apertamente dichiarato, di umiliarlo. Ho visto i ministri dopo il funesto Consiglio tenuto martedì, 12 luglio. Ho detto loro che avevano commesso un grave errore non dichiarandosi soddisfatti, e che la guerra tornava ad esser possibile. Mi hanno solennemente giurato che sarebbero stati prudenti, cioè poco esigenti. Nel frattempo ho fatto una vera campagna presso i deputati del Centro. Cento, a dir poco, mi hanno dichiarato che, se davo loro il segno della pace, m’avrebbero seguìto. Un buon numero di costoro sono venuti a dirmi: - Prendete il potere: siamo in duecento pronti a sostenervi; non si può lasciare il Governo in quelle mani....".
Ma egli ricusa di mettersi avanti, di appagare ambizioni ed appetiti; insiste invece perchè si faccia consistere soltanto nella pace lo scopo essenziale da raggiungere. "Non ho udito una sola obbiezione, salvo tra i bonapartisti, che del resto io non frequentavo. Il mercoledì, 13, si sono rimandate le ultime spiegazioni a venerdì, 15. Ho visto e rivisto i ministri, e parecchi mi hanno dichiarato che si sarebbero dimessi piuttosto che assumere la responsabilità della guerra. Plichon, Chevandier, me lo hanno promesso....".