Pagina:De Roberto - Al rombo del cannone, Milano, Treves, 1919.djvu/243

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di ciò che non era per altro ignoto: della poca sincerità dello scrittore. Il presuntuoso stimatosi quasi inventore della poesia della campagna romana, si mette ad ammirare la già denigrata Venezia per amore di byroneggiare!... Ma c’è, sotto un altro aspetto, anche di peggio. Egli si lagna perchè nel 1833 non ritrova le rive del Brenta quali erano la prima volta che le percorse: "L’Austria è venuta: essa ha rimesso la sua cappa di piombo sugl’Italiani e li ha costretti a ridiscendere nel loro sepolcro": osservazione amarissimamente vera, che ha il solo difettuccio di esser fatta da uno dei più illustri tirapiedi della Santa Alleanza, dal congressista di Verona, dal turiferario della "miracolosa" Coalizione e della diplomazia del 1814, del ’15 e del ’22 che "fondò nell’avvenire i diritti dei sovrani e dei popoli, e la sicurezza e la libertà dell’Europa!".

Il Faure non fa critica storica, nel suo bel libro, e neanche semplicemente letteraria; tuttavia egli non tralascia di rilevare quel tanto di falsità che c’è in qualche pagina italiana di Giorgio Sand. La celebre scrittrice, l’amatrice famosa ha piantato a Venezia il povero Alfredo infermo e se n’è andata col suo Pagello a Bassano: la passeggiata di due giorni nei dintorni della città veneta diventa una "spedizione" nel cuore delle Alpi; la novelliera dichiara d’essersi "scorticate le mani e le ginocchia", per attingere