Pagina:De Roberto - Al rombo del cannone, Milano, Treves, 1919.djvu/25

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vigilia italica 13

dovete divenire una nazione indipendente....» Il generale austriaco, come il Vicerè francese e l’ambasciatore britannico, teneva quel linguaggio per trarre dalla sua le popolazioni: quattro mesi dopo, caduto Napoleone, l’ultimo tricolore sventolante ancora in Italia era ammainato, l’esercito italiano cessava d’esistere, e un nuovo proclama del Bellegarde, ornato in testa dell’aquila bicipite, partecipava ai Lombardo-Veneti il «felice destino» che era stato loro concesso: l’annessione alla Monarchia absburghese....

Buon profeta, tra i molti illusi, era stato Gabriele Pepe, quando, biasimando i portamenti di Gioacchino e la sua entrata nella Coalizione, si dichiarava ignaro delle condizioni del trattato, ma «certo che l’Italia non avrà nè l’indipendenza nè l’unità». La menzogna di quelle promesse fu grave di conseguenze funeste. «La condotta degli Alleati verso l’Italia è un peccato che, al pari dello smembramento della Polonia, costerà molto caro all’Europa. Occorreranno ancora una ventina d’anni d’espiazione....» A parte l’errore di calcolo, perchè l’espiazione durò molto di più, anche queste parole furono profetiche: le pronunziò quel goriziano Catinelli che, mezzo secolo prima di Garibaldi, tentò un’impresa garibaldina al rovescio: salpò con mille soldati da Milazzo per tentar di sollevare la Toscana, prendere alle spalle il Vicerè