Pagina:De Roberto - Al rombo del cannone, Milano, Treves, 1919.djvu/98

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86 il protocollo della “giovane italia„


e perspicuamente annotato, spiega con molta diligenza. Dopo il fallimento della spedizione di Savoia e durante gli anni che corsero da quell’infelice tentativo al 1839, Giuseppe Mazzini patì un turbamento profondo. «A torto od a ragione», il mal esito era stato a lui addossato; «quanti conosci fra i migliori», scriveva egli stesso a Nicola Fabrizi, «m’hanno lasciato: ridono di tutto: mi dicono matto, alcuni — e degli intimi — ambizioso, e per questo ho operato, dicono, con istrepito. Alcuni coprono il mutamento colla misantropia: altri collo scetticismo o col Don Giovannismo: altri si contentano di formulare la impossibilità di fare: altri in fondo vogliono vivere e godere: tutti sono individualisti, che hanno recitato — in buona fede o no — la parte di poeti, di patriotti, di entusiasti, finchè hanno sperato di vincere. Quando avranno veduto che la nostra era una teorica di dovere, che bisognava far della vita una continua battaglia anche con la certezza di non vincere se non dopo morti, hanno voltato le spalle.... Da qualche scritto in fuori da me, per ora, non attendete cosa alcuna. Duole a me il dirlo quanto non puoi credere, perchè la mia vita va via e non vedo via neppur di morire a mio modo; ma v’illuderei se parlassi altrimenti. Son solo, sfornito di tutti i mezzi; costretto a lavorare per pane, e nella incredulità che mi circonda fo molto — non