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258 ermanno raeli.

Perdono!... hai ragione... è colpa anche mia... è stato mio padre... oh!...» Come un singhiozzo le aveva lacerata la gola, Massimiliana era caduta quasi in ginocchio dinnanzi a lei, brancicandola: «Sei tu che devi perdonarmi.... Povera donna! non ti accusare... Che colpa è la tua?.. Sono stata troppo vivace; perdonami...» Allora la viscontessa aveva rotto in pianto. Era un nodo che aveva nel petto, da anni: vederla soffrire in silenzio, senza poter far nulla... e mai un lamento... mai un rimprovero... come una martire... «Oh, Maxette!... povera, povera!...» — «Basta!.. tranquillati!..» interrompeva Massimiliana; «buon Dio, basta!.. Vedi: anch’io sono tranquilla... Ma lasciami andare... è giorno chiaro, c’è già il sole... Senti, bisogna ragionare... Andrò dalla contessa, le domanderò per favore di chiamarlo presso di lei; è necessario ch’io lo riveda, non fosse che per un minuto...» — «Lasciami venire con te...» — «È una pazzia... Se hai la febbre!... E poi, perchè?... Non farò nulla senza la contessa... No, no!... è già tardi...» E svincolatasi dalla nuova stretta, era uscita, rapidamente.