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dare con polso fermo e con occhio esperto un four in hand; a teatro, la sua testa da cameo, incorniciata di capelli ancora biondastri che parevano incipriati, si affacciava un poco per volta da tutti i palchi dell’aristocrazia, e non v’era festa, o cerimonia, o partita di piacere, a cui egli mancasse. Con l’abitudine di questa vita, è facile supporre che alla morte di sua sorella vedova di Charmory, l’assumere su di sè l’educazione di Massimiliana, rimasta povera e sola, non dovesse costargli molto. Tenerla, fino a quando era possibile, in collegio; lasciarla poi in compagnia della moglie: questa era stata la soluzione che egli aveva trovata; soluzione tanto più facile, quanto la reciproca compagnia che le due donne si facevano lasciava lui più libero e meno responsabile.

Però, a giudicarne dalla loro vita di Palermo, i legami fra le due fanciulle — quantunque maritata, la viscontessa d’Archenval aveva tutta l’aria di una ragazza — non parevano molto intimi. La signorina di Charmony