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— Hai ragione; tutto si paga!...
— Anche l’amore!
— Specialmente l’amore!...
Allora io li feci parlare. Erano mezzo ubbriachi: dissero la verità, la verità vera, quella che alle volte non confessiamo neppure a noi stessi.
Grolla narrò:
— Imaginate che io ero al mio primo amore. Altrettanto non posso dire, in coscienza, dell’amica mia. Ella stessa mi dava a intendere che fosse al secondo; ma credo piuttosto che convenisse servirsi dell’espressione algebrica e chiamarlo ennesimo. Voi potete strappare alle donne la verità intorno al loro passato, ma come potete tirare il tappo di sughero da una bottiglia quando non avete cavaturaccioli: a pezzetto a pezzetto. Or bene: a pezzetto a pezzetto io strappavo all’amica mia il sughero — voglio dire la confessione della verità. Ella aveva una quantità straordinaria di gioielli; ma era tanto ricca, che avrebbe potuto averne, senza che me ne stupissi, anche il triplo. Un giorno me li mostrò tutti. Io notai che in qualcuno di quei braccialetti, di quelle spille, di quei monili, erano tracciate certe iniziali, certe date. Compresi che dovevano essere regali, i regali dei miei predecessori. Le domandai: «Sono ricordi?...» Ella mi rispose, chiudendo gli occhi: «Sì...» Notate che chiuse gli occhi non già perchè riconosceva d’aver preso quel ben di Dio, ma semplicemente perchè confessava alla fine d’avere avuto più d’un amante. Allora, se i miei predecessori avevano creduto di dover aiutare la memoria di lei, non dovevo anch’io mettermi in grado di non esser dimenticato? Qui però mi cascava l’asino. Io non avevo quattrini nè sapevo come farne. Gli amici miei ne avevano meno di me, e gli usurai mi negavano credito. Non vi narro per quali vie tortuose e con quali disgustosi espedienti misi insieme mille lire. Con mille lire credevo di poter fare le cose decentemente. La mia idea era di offrirle un ricordo nell’anniversario del nostro primo incontro. Ma come quel giorno s’avvicinava, la cosa m’appariva meno facile di quel che avevo