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ma nessuno di sua conoscenza. Qualcuno di quegli Italiani, tuttavia, avendo letto il suo nome sulla lista dei viaggiatori, lo considerava con l’occhio attento ed un poco attonito col quale si guardano i grandi uomini, le bellissime donne e le bestie rare. Certuni gli gironzavano attorno, cercando l’occasione di dirgli che sapevano chi era; ma, naturalmente nemico di questo genere di esposizioni, Valdara evitava costoro, ed era molto contento quando lo scambiavano con uno dei tanti Valdara così numerosi nell’alta Italia, specialmente col proprietario o direttore che sia del celebre lanificio di Biella.

La corte degli uomini lo seccava; però egli faceva la corte alle signore. Una sopra tutte gli piaceva: la moglie graziosissima ed elegantissima d’un ingegnere piemontese, il cui nome si omette per discrezione. Fin dal primo giorno che costei apparve alla table d’hôte, Valdara le piantò gli occhi addosso, con una persistenza legittimata dalle occhiate rapide e frequenti che anche ella gli rivolgeva. La sera, al Casino, uno di quei curiosi che era finalmente riuscito ad esprimergli la propria ammirazione e che conosceva l’ingegnere e la moglie, lo presentò alla coppia di fresco arrivata. E, credendo di riescirgli particolarmente gradito, si mise a parlare di letteratura. Valdara, lieto della conoscenza fatta, era un po’ seccato da quel discorso, temendo da un momento all’altro di sentir citare le proprie opere o di dover rispondere alla solita incresciosa domanda: «E che cosa ci regalerà di nuovo?» Per fortuna il seccatore ebbe il buon gusto di non alludere a lui; nè la signora, la quale del resto era un poco stanca e si ritirò molto presto, gli fece gl’immancabili ed immancabilmente stupidi complimenti.

Fin dal domani Valdara cominciò l’assedio, e con gran piacere s’accorse che le cose si mettevano bene. Il seccatore se ne partì, l’ingegnere stava poco bene, quindi egli ebbe l’agio di veder spesso sola la dama dei suoi pensieri. Una settimana dopo, ottenne di fare con lei una passeggiata clandestina. Parlarono di tutto, fuorchè di letteratura; anzi, non di tutto, ma d’una