e l’amor proprio, fra l’istinto della conservazione individuale e quello della riproduzione della specie, c’è un contrasto, un dissidio, un conflitto. Certo, considerati all’origine, i due istinti si possono identificare: l’individuo si conserva per riprodursi, e si riproduce per conservarsi, per non perire del tutto, per durare in un altro individuo a lui simile e da lui generato. Ma questa identità essenziale, filosofica e metafisica, non vieta che realmente, praticamente, nella specie umana, che i due istinti vengano in urto, e che ora vinca l’io ora l’altro, o l’altra; che ora trionfi l’amore, ora il denaro; ora gridi il ventre, ora... un altro organo. E se il ventre ha, come dicono i critici della società attuale, più culto ed onore che non l’amore, ciò dipende appunto dal fatto naturale che l’istinto della conservazione, nella nostra specie, opera continuamente, incessantemente, dal primo all’ultimo giorno della vita, ed è assolutamente indomabile; mentre quello della riproduzione comincia ad operare un buon tratto dopo la nascita, finisce di operare prima della morte, — della morte naturale, per vecchiezza, — nè opera continuamente, ma ad intervalli, ed è anche, relativamente, domabile. «Nella sfrenata concorrenza degli appetiti,» dice l’Albert, «nel conflitto mortale dei bisogni, l’uomo moderno si sente perduto se si disvia dal segno al quale è