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166 la messa di nozze

La nebbia si era riaddensata, nella notte, ma un vento fresco che cominciava a levarsi la discacciava ora lungo le coste dei monti, la faceva svaporare dalla valle come da una immensa caldaia. Una carrozza a quattro posti stava ferma dinanzi al cancello del «Grand-Hôtel»; gli sposi aspettavano nel salottino del pian terreno rialzato. In un semplicissimo abito da viaggio, di color grigio, senza trine, senza nastri, con una sola spilla al colletto, formata da tre serpentelli annodati in un triplice simbolo di eternità, la signora Lariani, in piedi accanto alla finestra, leggeva un libro che posò sul davanzale per volgersi ai sopravvenuti.

— Grazie dei fiori! — disse, mostrando i mazzi disposti in due grandi vasi sul pianoforte. — Grazie a voi, Perez, d’avere accettato.... — Rivolta al marito, presentò: — Domenico Perez, Francesco; il dotto e l’artista di cui ti ho tanto parlato, che ci fa il piacere di esser tuo testimonio.

Il colonnello Harrington gli strinse la mano, dicendo in un italiano alquanto dentale:

— Le sono molto grato dell’onore che mi fate.