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108 spasimo

A certi momenti dubito che la colpa sia mia. Che cosa avrebbe fatto un’altra? La colpa è certamente della mia ignoranza, della mia inesperienza...

«Non volle o non potè parlare? Forse non volle e non potè. Una sola volta gli domandai: «Ma come? Com’è stato?...» L’odo ancora rispondere, torcendo gli sguardi: «Più tardi...»

«Egli non credeva che l’uccidersi fosse male imperdonabile. Uccidersi per non saper vivere era a suo giudizio viltà; ma in altri casi la morte volontaria non era per lui condannabile. Molte volte discutemmo questo problema: egli mi dimostrò che il mondo onora giustamente chi si sottrae con la morte al servaggio, alla vergogna, al disonore; chi morendo salva od aiuta i suoi simili. Uccidersi per castigarsi, diceva ancora, è giustizia...

L’incertezza del Ferpierre sul significato di queste parole durò poco: il pensiero della narratrice si veniva precisando da una pagina all’altra: ella pensava che suo marito non fosse morto per una disgrazia, ma deliberatamente; che avesse cercato la morte tremenda sotto le ruote d’un convoglio.

«Le persone presenti dissero, e dicono ancora, di non capire come egli non udisse le loro grida, non vedesse i loro gesti disperati. Una di quelle vertigini delle quali soffriva nell’ultimo anno potrebbe spiegare l’accaduto, se io non sapessi.

«La sua tristezza era mortale. Quando glie ne chiedevo la ragione mi guardava così dolorosa-