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pure uccisa all’ultimo, ma fosse stata assassinata da uno dei due Russi: l’assassino traeva profitto dalla verisimiglianza del suicidio per evitare l’accusa.

A rischiarare il mistero conveniva conoscere con precisione quali rapporti erano interceduti negli ultimi tempi tra lei ed il giovane, quali domande e quali promesse erano state scambiate. Le lettere del Vérod alla contessa, due o tre in tutto, non dicevano cose notevoli, esprimevano soltanto la sua gratitudine per la visita da lei fatta al sepolcro della sorella, e il desiderio e la speranza di rivederla. Dalle altre carte della defunta nessuna luce veniva: le più importanti erano un fascio di lettere di quella suor Anna Brighton a cui ella aveva scritto la mattina stessa della catastrofe.

Suor Anna la trattava veramente nelle sue lettere come una figlia; si comprendeva dalle parole di conforto, dai richiami alla fede cristiana, che la suora rispondeva a lettere dove la morta le diceva i suoi dolori e le sue disperazioni. Già per mezzo della legazione inglese a Berna, il Ferpierre aveva disposto che la Brighton fosse ricercata alla Nuova Orléans, di dove le sue lettere erano datate, perchè si sapesse da lei che cosa le aveva scritto nell’ultimo giorno l’antica sua allieva. Egli aveva pure ordinato che fossero perquisiti i domicilii della defunta a Nizza e dei nihilisti a Zurigo, e richiesto informazioni intorno a costoro alla legazione di Russia. Frattanto fece