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Pagina:De Roberto - Spasimo.djvu/155

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duello 143

che io tentassi di violentarla e che ella si sia uccisa per sottrarsi alla mia violenza?

Tale era infatti il sospetto del giudice. La condizione nella quale la contessa e il Vérod si trovavano poteva durare, quantunque ambigua, se per opera del giovane nulla fosse intervenuto a tentar di mutarla. Ora che il Vérod, sentendosi amato, s’appagasse sempre della pura amicizia, non pareva al giudice credibile. E se l’artista aveva adoperato i sottili espedienti della poesia per sedurre quella donna, se aveva nobilitato con la magia dell’espressione letteraria il suo scontento e le sue brame, la contessa d’Arda, destatasi dal sogno d’un affetto fraterno, trovandosi inevitabilmente al formidabile bivio di vivere peccando o di morire per evitare la colpa, aveva potuto apprendersi al più disperato, ma meno indegno proposito.

— Non dico che voi foste violento, nè per un’anima come quella della vostra amica, con la dolorosa sensibilità della quale soffriva, sarebbe occorsa la violenza a toglierla dalla fiducia. La sola naturale vivacità della passione, una di quelle ardenti parole che l’amore inventa, che a voi poeti non costano molto, doveva bastare a toglierla dall’illusione che la seduceva, a dimostrarle inevitabile la trasformazione della vostra amicizia, e a darle, con la previsione del male, l’idea di sottrarsi finalmente a una vita troppo assediata dal dolore.