ciò ad incolparsi, a interdirsi la speranza prima consentita. In
questa situazione che motivo aveva il principe di ucciderla? L’amava
ancora o, se vi piace, era geloso d’una gelosia tutta brutale, di quella
gelosia che è offesa al sentimento di proprietà e nient’altro. Ma di che
poteva accusarla? Non di essersi data a voi! Egli doveva anzi esser
certo che il più lieve sforzo di bontà, una prova d’amore, una parola
buona avrebbero impedito che la contessa fosse vostra. Io voglio credere
che non la gelosia, non l’odio vi facciano disistimare tanto quest’uomo;
ammetto che i buoni sentimenti gli siano sconosciuti e che egli sia
veramente capace d’un volgare delitto. Ma la malvagità più brutale ha
pure bisogno d’un pretesto, se non d’una ragione, per armarsi e colpire.
Io non vedo qui nè ragioni nè pretesti. Supponete forse che, dopo avervi
con tanta pena accordato un assenso tanto ambiguo, ella andasse da lui
per provocarlo, dichiarandogli ad un tratto d’amar voi? Forse l’amor
proprio vi suggerisce, a vostra insaputa, questo ragionamento. Esso è
illogico. Se la contessa avesse voluto secondare l’inclinazione che
sentiva per voi, nessuno glie lo avrebbe vietato quando Zakunine era
lontano. Anche ora aveva ella veramente bisogno di chiederne licenza a
quest’uomo? Se l’impedimento fosse venuto da costui ella avrebbe potuto
ribellarsi e sfidare; ma non veniva da lui, sibbene da lei stessa, dalla
sua intima coscienza.