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nario in Russia, da lui ideato e diretto, era stato sul punto di riuscire. Mentre la nave che doveva trasportare lo Czar da Pietroburgo a Kronstadt saltava in aria, mentre due reggimenti si ribellavano a Mosca, mentre una colonna di condannati in Siberia marciava in armi verso gli Urali, un manipolo di fuorusciti sbarcava in Crimea e metteva in fiamme le province meridionali dell’impero. Se l’autocrate si fosse trovato sul battello naufragato, la sua morte nel punto che da tante parti gli audaci scendevano in armi avrebbe forse segnato il principio della fine; ma, per un improvviso mutamento, la Corte aveva seguito la via di terra, e allora le parziali rivolte erano state soffocate nel sangue: dei capi, solo Zakunine, rimasto lontano, sopravviveva.

Tale era l’uomo che Roberto Vérod accusava di aver ucciso la contessa d’Arda.

— È costui capace d’aver commesso l’assassinio? — domandava il Ferpierre a sè stesso; e contrariamente all’opinione di Giulia Pico rispondeva: — È capace!

Ma aveva veramente uccisa la disgraziata? La capacità di delinquere non valeva nulla, senz’altro. Nel suo giornale, Fiorenza d’Arda aveva, sì, trascritto la minaccia di lui: «Se tu m’abbandoni quando non t’amo più, te ne sono grato; se mi tradisci quando t’amo ancora, ti uccido:» ma, come il giudice aveva dimostrato al Vérod,