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trattata con maggiori riguardi; ma se pure ciò poteva dimostrare che era pentito dei mali trattamenti d’un tempo, il pentimento, il sopravvenire degli scrupoli, contraddicevano all’ipotesi dell’assassinio: non poteva volere la morte d’una creatura chi si pentiva d’esserle stato causa di dolore.

Se il principe fosse stato marito della defunta; se, stanco di lei, avesse voluto sposare la nihilista e se la nihilista avesse voluto sposar lui, il dramma poteva ragionevolmente ricostruirsi così: finto d’essere ravveduto, il marito tornava presso la moglie, persuadeva gli altri e lei stessa della propria conversione in modo da stornare ogni sospetto; poi, solo o con la complicità dell’amante, la uccideva per liberarsi. Ma egli nè era indissolubilmente legato alla contessa, nè si poteva credere che volesse legarsi alla giovane connazionale: tutte queste supposizioni si dovevano abbandonare. Il ravvedimento di quell’uomo era tuttavia sincero o per meglio dire credibile, perchè aveva uno scopo: il bisogno di denaro. Oltre a questa, un’altra ragione più sottile poteva spiegarlo.

Nella sua lunga e varia esperienza il Ferpierre aveva molto attentamente studiato le passioni umane; egli sapeva che gli amanti infedeli sogliono essere presi, nel punto del tradimento, da un senso di pietà per l’amante tradito. Con la coscienza di far male, essi attenuano la propria colpa accordando una commiserazione che dovrebbe dimostrare la