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giustizia la lettera? Nulla era venuto; dunque la lettera non annunziava il suicidio! Bisognava pertanto considerare come singolarmente peggiorata la condizione degli imputati. Mancando un’esplicita allusione al disperato proposito della scrittrice, sarebbe parso sempre meno probabile che, un’ora dopo, ella si fosse uccisa; ma a quale dei due accusati bisognava imputare il delitto? Si poteva sperare che ella avrebbe espresso la paura suscitata in lei dal minaccioso contegno di uno dei due? Non era più probabile che la lettera non sarebbe stata esplicita in nessun senso, e che, pure confermando l’ambascia dalla quale l’infelice era occupata, non avrebbe annunciato la determinazione di morire? In tal caso l’ambiguità sarebbe rimasta.

Una prima notizia, riferita dai giornali inglesi che annunciavano il ritrovamento di suor Anna Brighton, distrusse i dubbii del magistrato. La religiosa, dicevano i fogli, era colpita da una grave paralisi, non aveva più l’uso del corpo nè della favella.

Un telegramma da Londra al Journal de Genève precisò, il giorno seguente, che la malattia datava da un mese; che l’insulto apoplettico, secondo la dichiarazione della cugina di suor Anna, sola parente di lei, si era prodotto alla lettura di una notizia funesta.

E quando, una settimana dopo, con la conferma