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272 spasimo

venuto in vita della infelice? Il giorno del loro ultimo incontro, quando ella gli aveva parlato dell’uomo al quale era legata, che tornava a volerla sua, l’impeto dell’odio contro Zakunine e l’insoffribile sentimento dell’impotenza del proprio amore non lo avevano quasi rivolto contro di lei?... «Sia come volete,» le aveva detto, «ma costui vi lascerà ancora una volta.» Il suo pensiero non era andato oltre quelle parole? La concitazione dello sdegno non lo aveva quasi spinto ad afferrare la mano di lei per dirle duramente: «E per un suo pari vi negate a me? E dopo esservi perduta per lui, per lui rifiutate di riscattarvi?...» Alla fosca luce di questi pensieri egli rivolgeva dubitosamente a sè stesso un’altra, una più ansiosa domanda:

«Ella ha dunque ben fatto, uccidendosi?»

Se un germe velenoso insidiava la vita dell’amor loro, era dunque meglio che fosse morta? Se ella aveva compreso che, volendola sua, ei pensava di riscattarla, di fare un atto generoso, non per fedeltà a Zakunine gli aveva resistito e si era uccisa, ma per la disperata certezza d’un malinteso fatale all’amor loro? Morta per lui, egli presumeva ancora di giudicarla? Se credendola vittima dell’altrui ferocia le aveva dato tutta la pietà del suo cuore, una più trepida pietà, la pietà alimentata dal rimorso, non doveva darle ora che il volontario sacrifizio l’aveva riabilitata?