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spasimo 277


Il principe Alessio Zakunine gli stava dinanzi.

— Roberto Vérod, — diceva la voce, — non mi riconoscete?

Un brivido di raccapriccio gli passò per i nervi come alla vista di uno spettro. Che cosa voleva quell’uomo da lui? Perchè veniva a cercarlo?

— Voi sapete chi sono? Non m’aspettavate, però! Sono venuto da voi perchè ho una cosa da dirvi.

Parlava a capo chino, sommessamente. Vista di scorcio, dalla fronte troppo ampia alla punta del mento, la sua faccia appariva incisa da rughe profonde; i capelli ancora più rari erano imbiancati sulle tempie; tutta la figura portava impressi i segni d’un rapido decadimento.

Il Vérod restava a considerarlo, come affascinato, incapace di rispondere una sola parola, di veder chiaro nel tumulto di sentimenti che gli si scatenava nell’anima.

— Ho da dirvi una cosa. Volevo dirla al giudice Ferpierre, ma ho pensato che prima mi convenisse rivolgermi a voi....

Dopo una pausa, riprese:

— Uditemi, Vérod: Fiorenza d’Arda non si uccise. Io l’assassinai.

Il giovane si passò una mano sulla fronte, sugli occhi. Ancora una volta, ora anzi più che nel primo istante, egli non era ben sicuro di essere desto.