Pagina:De Roberto - Spasimo.djvu/293

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spasimo 281

rebbe stato ancora tempo. O forse no: era già troppo tardi. Troppo tardi! Sapete voi che cosa significano queste parole?... Un pensiero di superbia mi arrestò. Dovevo io supplicare? Pure sentivo che in questa crisi della mia vita nulla sarebbe valso a guarirmi come l’amore, nulla avrebbe pagato l’amore di una creatura come lei. Le tornai vicino. Non dissi nulla. Il mio contegno doveva dimostrare tuttavia ciò che avveniva dentro di me. Troppo tardi!... Troppo tardi!... Noi possiamo penare ed accettare la pena, possiamo disperare e vivere nella disperazione, ma all’idea che la felicità era possibile, che la fortuna ci passava d’accanto, che dovevamo soltanto stendere una mano, dire una sola parola per ottenerla; e aver distesa la mano e proferita la parola — troppo tardi! — a questa idea il nostro cuore non regge... Ella non era più mia; era vostra. Come ebbi questa certezza, ricominciai a ridere e deridere. La fuggii; ma dovetti tornare. Al suo fianco, quantunque mi dimostrassi pentito e convertito, ero insofferente della soggezione; lontano da lei sentivo di non poter vivere. Così trascorsi gli ultimi mesi, alternando le fughe con i brevi ritorni. A Zurigo io vivevo per parlare di lei ad un’altra infelice, ad Alessandra. Alessandra Natzichev è morta...

Il Vérod era stordito. No, egli non sognava; ma la realtà aveva tutti i caratteri del sogno. L’uomo che gli stava dinanzi somigliava all’orgoglioso ri-