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ma pensate che l’amore è morto.» La sua voce era fredda e il suo sguardo mi evitava. Quando compresi che anche voi avevate parlato, sentii che non era sincera, che mi nascondeva qualche cosa. Ma temevo che pensasse di fuggire; non sapevo, non credevo che avesse deliberato di morire: ella mi era ignota ancora!... Passai una notte tremenda. Vegliò anch’ella. Cento, mille volte fui sul punto di andarle dinanzi; ma la sua soglia mi era vietata. Il domani venne Alessandra a cercarmi, a chiamarmi, presaga d’una catastrofe. Le promisi di partire, ma prima volli ancora una volta passare da lei. Udendomi entrare ella nascose precipitosamente qualche cosa. Vidi che era l’arma. Così fu presa tra le nostre due passioni: da voler morire per liberarsi!... Sentivo di non avere il diritto di parlare, d’essermi intruso presso di lei, di doverla lasciare al suo destino, alla libertà, alla morte; ma non potevo. Quest’idea: che fra due esseri già stati l’uno dell’altro non ci fosse più nulla, più nulla, che io fossi peggio d’un estraneo per lei, non poteva entrare nella niente mia. E la voce secreta diceva: «Prima tu credevi che l’amore fosse l’incontro fugace di due capricci, prima tu ridevi dei legami indissolubili...» Io non potevo concedere che ella fosse d’un altro, sia pure col solo pensiero. Io che avevo tradito non potevo ammettere che sarei stato tradito a mia volta. La mia superbia era sconfinata, non tollerava che