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xv. don abbondio 291

messo tali vigliaccherie. Ora avviene che una volta che l’immaginazione rimane libera, nel sogno vengono innanzi que’ tali moti che nella veglia non riveliamo a noi stessi. Certamente don Abbondio non era stato inseguito dai bravi, né da alcuno; nessuno gli ha detto: — Ti tiro una schioppettata — ; ma perché egli dopo il dialogo con i bravi, tornato a casa sua apre la porta di casa frettolosamente e chiude presto e diligentemente, come se fosse inseguito? perché dice a Perpetua, quando questa gli consigliava di confidare il tutto all’arcivescovo: — «Quando mi fosse toccata una schioppettata nella schiena... Dio liberi!, l’arcivescovo me la terrebbe egli via?» — ? Sono tutti questi de’ sentimenti interni che scappano qua e là nel discorso, e che vi fanno intendere che nell’animo di don Abbondio ve ne sono molti, e che nel parlare sono appena accennati. Ora nel sogno di don Abbondio v’è tutta l’esagerazione della paura; tutti que’ moti intimi sono rivelati in modo sconnesso ed accavallato, come avviene sempre quando una fantasia è esaltata: e l’autore vi dice tutto questo mirabilmente ed in poche parole: «ma che sonno! che sogni! Bravi, don Rodrigo, Renzo, viottoli, rupi, fughe, inseguimenti, grida, schioppettate».

Qui finisce lo sviluppo del comico di don Abbondio.

Mi direte: — Don Abbondio riesce ad ingannare Renzo? — .

Cesso dal farvi quest’analisi minuta che ho fatto finora, perché si trattava del primo ritratto di don Abbondio; vi dirò soltanto il motivo comico. Don Abbondio riesce a fare quello che gli ha dettato la sua intelligenza; ma per riuscire poi ad ingannare un altro, la prima qualità è di avere sangue freddo, faccia tosta, e sopratutto rendersi padrone dell’uomo col quale si parla, e che si cerca d’ingannare. Per far tutto questo e per riuscirci, don Abbondio avrebbe dovuto snaturare se stesso: egli, noi lo sappiamo, non è dei «forti», ma de’ «mezzi caratteri», egli è debole, ed è però capace di ricevere ma non di fare impressione; che anzi non ha forza di padroneggiare se stesso perché, parlando, avviene che c’è contraddizione tra le parole che dice e tutto l’accompagnamento di esse. Egli capisce che non può cacciar da sé l’impressione, ed il mistero scappa dalla faccia, da’ suoi