Pagina:De Sanctis, Francesco – Alessandro Manzoni, 1962 – BEIC 1798377.djvu/74

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si può chiamare imperfetto di rincontro alla sua esistenza logica e mentale, è perfettissimo come mondo vivente, e perciò mondo dell’arte. Certo, niente vi è di più maraviglioso, che la conversione dell’Innominato. Il pianto di Lucia, che ispira nel Nibbio un sentimento nuovo, la compassione, produce in lui una trasformazione così profonda, che lo converte, lo fa un altro essere. Si vegga con quanta industria il poeta, un fatto così straordinario che il volgo attribuisce a miracolo della Madonna, riconduce nelle proporzioni di un fenomeno psicologico. E se Borromeo compie il miracolo con la sua ardente parola, si dee non solo a quella fiamma di carità che lo divora, a quella sua eroica esaltazione religiosa, ma a qualità più mondane che pare diminuiscano il Santo, eppure lo compiono e lo perfezionano. Perché il poeta allato al Santo fa apparire il gentiluomo, l’uomo di mondo e di esperienza, dotato di cultura, di un tatto squisito, di una grande conoscenza de’ caratteri e delle debolezze umane, che indovina i pensieri e le esitazioni più occulte de’ suoi interlocutori, e sa tutte le vie che menano al loro cuore, sì che vince le ultime resistenze dell’Innominato e di don Abbondio, e più si accosta e si abbassa a quelli, più il Santo ci si fa accessibile, più lo sentiamo a noi vicino. Veggasi pure, che se le parole di padre Felice fanno un così grande effetto, si dee a quel complesso di fatti e di circostanze, che lo ispirano e lo mettono in comunione con gli uditori, e lo rendono eloquente più che non sono tutt’i nostri oratori sacri presi insieme.

Nondimeno l’Innominato e Borromeo sono qui i personaggi più ideali, nel significato ordinario di questa parola, cioè a dire, più perfetti, più vicini al loro tipo, l’esemplare più puro del mondo religioso e morale del poeta, l’uno come affermazione, l’altro come negazione. E se dovessero avere nel Romanzo una parte fissa e durevole, verrebbe stanchezza ed uniformità da quella santità e da quella malvagità in permanenza. Questo sarebbe il caso, se la conversione dell’Innominato fosse base del racconto, e non piuttosto, com’è, una sua parte accessoria. Ond’è ch’essi sono apparizioni straordinarie e fuggitive, meteore che illuminano e passano, lasciando dietro di sé stupore e ammi-