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iii. 1815 - «sugli errori popolari degli antichi» 15

ad un punto, che il giovanetto non poté più seguitarlo. Que’ princípi, ancora astratti, ancora idillici, ricevuti da tutti, e prima dai nobili e dai principi, presero corpo, divennero l’Ottantanove e il Ventuno gennaio, e la Convenzione e i giacobini, e Bonaparte, che orrore! giunse a mettere la mano sino sul papa. Immaginate quale impressione dovettero produrre que’ fatti su di un buon suddito pontificio, qual era il conte padre, e che ambiente si formò in quella casa e in quel paese, e quali potevano essere le opinioni di Giacomo. La Francia «scellerata e nera», come la chiamò in uno di que’ tanti versi giovanili presto cancellati, divenne la grande colpevole, personificata ne’ giacobini, nemici del trono e dell’altare.

Così letterariamente il giovane era francese e secolo decimottavo; politicamente vi si ribellava, e si stringeva alla religione come sola salute contro gli eccessi della filosofia e della ragione.

Tale era Giacomo a diciassett’anni, nel 1815, quando compose il Saggio sugli errori popolari degli antichi. Quel saggio pieno di erudizione conteneva idee «sane», come si diceva allora, e dové parere portento tanta dottrina in così giovane età. Pur non fu potuto pubblicare a Roma, e, mandato il manoscritto all’editore Stella, in Milano, si smarrì, e non fu ritrovato e pubblicato che dopo la morte dell’autore, nel 1846. Sainte-Beuve dice «qu’il présente déja les résultats d’un esprit bien ferme»; Viani lo chiama opera virile; Ranieri ci trova profonda e vasta erudizione, e De Sinner lo chiama «admirandae lectionis et eruditionis opus». Questi elogi non solo valuti ad acquistare molti lettori al libro, rimasto materia archeologica dell’ingegno leopardiano, buona a cercarvi le prime formazioni.

Messi quegli studi, quella biblioteca, quell’educazione, quel gusto, quelle opnioni e quell’ambiente, nessuno stupirà che ne sia uscito quel saggio.

Il giovane discorre tutti gli errori de’ greci e de’ romani, teologici, metafisici e fisici, per dar risalto al beneficio fatto all’umanità dal Cristianesimo che ce ne ha liberati, ancoraché parecchi di quelli errori continuino sotto altre forme presso le