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XXVII

«PENSIERI E DETTI» DI LEOPARDI

Lo scrittore pone ogni studio a bene occultare la sua personalità, sicché le sue opinioni sembrino dettate non da umore o singolare disposizione psicologica, ma da puro e disinteressato convincimento del vero. Questo non gli riesce in tutto, perché l’umore scatta da quella sua attitudine freddamente ironica, e qua e là il velo è così trasparente che si vede dietro la sua persona. E se si fosse lasciato ire alle sue impressioni, innestando concetti e sentimenti, avremmo avuto un quadro vivo e interessante. Ma, parte il desiderio che la singolarità delle sue opinioni non sia attribuita a singolarità d’umore, parte il concetto rigido e astratto che s’era formato della prosa, l’autore rimane, quanto gli è possibile, in una generalità scientifica.

Pure, queste prose non destano un interesse filosofico, non hanno un valore seriamente scientifico. Mancano a Leopardi le alte qualità di un ingegno filosofico: la virtù speculativa, familiare con le più elevate astrattezze, come fossero cose viste con l’occhio, e la virtù edificativa o metodica, da cui nasce un tutto sistematico, vigorosamente coordinato. Non ha l’intuizione del generale o della legge, e non ci va, se non per via di esempi e d’immagini e di sentenze, e giunto appena, ricasca in basso. Le sue cognizioni filosofiche, non comuni, massime per quello che si appartiene all’antichità, erano rimaste nello stato di dottrina o di erudizione, vale a dire di semplice particolare; e non si vede che ci sia stato da parte sua nessun lavoro serio di assimilazione