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XXXI

POSIZIONI FANTASTICHE

Ci è nel pensiero leopardiano qualche cosa di così alieno da ogni opinione ricevuta e di dotti e d’indotti, che dovea parere a molti una stravaganza, una singolarità di cervello solitario. In un tempo che il divino era scomparso nell’umano, e l’uomo era posto in cima della creazione, quasi come fosse lui l’assoluto, sentire che la terra era appena una pallottola, e l’uomo appena visibile ed osservabile nell’infinito universo! Sentire che il secolo dei lumi sia il secolo della morte, o dei morti! che il non vivere è meglio del vivere! che la vita è necessariamente infelice, e più nei grandi uomini! che l’uomo non è la più perfetta creatura dell’universo! che tanto vale un diletto sognato quanto un diletto vero, anzi più! che la vita è dolore e noia! che la natura opera senz’altro scopo che di produzione e distruzione! che la morte è piuttosto piacere che altro!

Questo spifferare sentenze, che doveano parere paradossi nel secolo dei lumi e del progresso, aveva il suo lato comico. Lo scrittore che si allontana in modo così risoluto dalle opinioni correnti, dovea provare un certo gusto a solleticare e pungere i contemporanei, ridendo in cuor suo di quei loro pregiudizii. Non gli basta dire loro la verità; vuole che la verità giunga a loro per via di sorpresa e con aria di paradosso, sì che aprano la bocca e facciano gli occhi grossi, ed ei si spassi un po’ a spese loro. Perciò non gli basta il discorso, e neppure quel ragiona-