Pagina:De Sanctis, Francesco – Giacomo Leopardi, 1961 – BEIC 1800379.djvu/53

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vi. 1817 - l’«eneide» 47

liana, quella tensione de’ volti. O chi riconoscerebbe il «talia fando» ed il «temperet a lacrymis» in quello: «E qual potrebbe rattenere il pianto, Tai cose in ragionando»? E quel «suadent somnos» divenuto un: «vanno persuadendo il sonno»; e quel «tantus amor» divenuto un: «ti diletta, e hai desio»; e l’«horret» divenuto un: «all’alma orrendo», e il «luctu» plastico trasformato nel subbiettivo «addolorata»! In verità basta.

Volete sentire il vero traduttore di Virgilio? Volete il poeta che rende il poeta, ma a modo suo e con tono e con accento suo? Eccovi avanti l’«infandum jubes renovare dolorem»:

                              Tu vuoi ch’io rinnovelli
Disperato dolor . . . . .
«Infandum dolorem», «disperato dolor», l’uno senza espressione e l’altro senza speranza, tutti e due infiniti. E il «quis temperet a lacrymis»? Eccolo:
E se non piangi, di che pianger suoli?
E la simultaneità del «fando» e del «lacrymis»? Eccolo:
Parlare e lagrimar vedrá’ mi insieme.
E il «tantus amor nostros cognoscere casus»?
Ma s’a conoscer la prima radice
Del nostro amor tu hai cotanto affetto...
Eccovi il traduttore di Virgilio. A che distanza stanno dai due poeti il vecchio Caro e Leopardi ancor giovanetto!