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12 la giovinezza

e facevo la seconda chiamata: — Zio, sono le sei e mezzo — ; e lui si levava senz’altro. Quando sentivo il campanello, correvo, ch’era la zia, e le baciavo la mano. Veniva appresso a lei la serva, china gli omeri sotto la spesa. Non si mangiava male, perché c’era sempre qualche pensionista. Erano cibi sani e casarecci, che a me piacevano più che le vivande delicate. Ma ciò che non potevo patire era quel piccolo pezzo di pane assegnatomi, e dovevo fare la faccia dura per avere un rinforzo.

Un giorno stavo collocato vicino al padre di un pensionista, un bravo vecchio, tagliato così alla grossa, che ci vedeva poco. Io aveva finito il mio pane, e piano piano mi tirai il suo, e lo divisi con Giovannino, ch’era quasi sempre, l’istigatore. Il vecchio, quando gli bisognò, non trovò più il suo pane, e andava cercando a tentoni. Io m’ero rimpiccinito, e avrei voluto sparire dal mondo. Zia Marianna se ne accorse, e diede un’altra fetta di pane al vecchio, e diede a me un’occhiata obliqua, che mi parve una spada. La sera ci fu gran chiasso; la mi fece una lavata di capo. Come ragazzi viziati, ci raccogliemmo nell’ultima stanza indispettiti, e cominciammo a mormorare contro la zia, che era un’avara, e ci faceva desiderare anche un po’ di pane. E d’uno in altro proposito, Giovannino fece questa bella trovata. — Domani, — disse, — si fa il pane nuovo, che fetta e fetta! Andiamo e prendiamoci addirittura una panella, e sfamiamoci, e diamo una lezione alla zia — . Vollero assolutamente che fossi io a fare questo bel tratto. Io non voleva; ma pur ci andai.

Il giorno appresso nelle ore vespertine tutto dormiva, zio si soleva mettere nella grande stanza della scuola sopra una seggiola, con un fazzoletto che gli copriva la faccia. Nella stanza appresso stava un maestro di disegno, certo Ippolito Certain, che a quell’ora stava disteso sul letto sonnacchiando. Zia Marianna era a sua casa; ma nell’avanti-cucina come un Argo, stava Rachele così tra veglia e sonno, sulle tavole del letto acquattata. Appunto in quella camera stava il pane nuovo in una cesta che penzolava a una fune presso il balcone. Giunse l’ora. Io ero pallido come un ladro; mi batteva il cuore. Mi levai le scarpe e zitto zitto aprii l’uscio della stanza, dove stava lo