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PAROLE IN MORTE DI FRANCESCO TRINCHERA


Ed ecco un altro che se ne va di quella generazione, il cui nome va unito alle superstiti. Sembra non passi quasi anno, che non dobbiamo accompagnare al sepolcro uno dei nostri, e ricordiamo le loro lodi e viviamo di memorie.

Francesco Trinchera fu uno di quegli uomini eletti che alla facile via del guadagno, degli onori e del riposo prefersero l’altra de’ patimenti, del carcere e dell’esilio; e fu soldato pieno di passione e di abnegazione in quella guerra di ogni giorno che ci condusse all’unitá nazionale.

Un giorno, noi studenti, condannati all’Eineccio e all’abate Troise, ci vedemmo innanzi, nuova rivelazione, il Diritto naturale di Ahrens; poi vedemmo passare di mano in mano, letto con tanta impazienza, con cosí calda ammirazione, il libro di Pellegrino Rossi; giá il nome di Gioberti sonava alto, quando qui uscivano pagine piene di simpatia intorno alla sua estetica; ed ora ci balzava innanzi, non sapevamo onde e come, qualche pagina infocata contro gli abusi della tirannide, ora qualche dotta memoria sui congegni amministrativi. Qual era l’uomo instancabile, da cui usciva senza tregua questa guerra all’ignoranza ed al despotismo? Era Francesco Trinchera. Gittate in carcere, vi preparò nuove armi per nuove lotte; volle essere e fu un economista.

Compiuta l’unitá nazionale, sgombrarono dal suo petto quegli spiriti guerrieri, e la sua mente si riposò nei tranquilli studii delle discipline economiche e amministrative. Quando tutti i

F. de Sanctis, La poesia cavalleresca. i6