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iii. il «morgante» 33

perficie esterna, ed anche qui è poco felice. Uno de’ ridicoli del gigante è il mostruoso, le proporzioni del suo corpo contrarie al principio razionale d’armonia. Ma bisogna sapere unire le qualità mostruose si che eccitino il riso. Se le unite a caso, avrete un accozzamento di parti strane da cui non uscirà il grottesco. Quando il mostruoso non è spinto fino al ridicolo, rimane come mostruoso e l’elemento comico è distrutto.

Ecco come descrive un gigante che va incontro a Rinaldo:

     Egli avea il capo che parea d’un orso,
Piloso e fiero; e’ denti come zanne,
Da spiccar netto d’ogni pietra un morso;
La lingua tutta scagliosa, e le canne;
Un occhio avea nel petto a mezzo il torso,
Ch’era di fuoco, e largo ben due spanne;
La barba tutta arricciata e’ capegli;
Gli orecchi parean d’asino a vedegli.
     Le braccia lunghe, setolute e strane,
E ’l petto e ’1 corpo piloso era tutto;
Avea gli unghion ne’ piedi e nelle mane,
Che non portava i zoccol per l’asciutto,
Ma ignudo o scalzo, abbaia com’un cane:
Mai non si vide un mostro cosí brutto:
E in man portava un gran baston di sorbo,
Tutto arsicciato, e nero com’un corbo.
L’autore ha fatto un ritratto mostruoso, non grottesco perché non v’è intenzione comica.

Dal lato pagano, dunque, mancanza assoluta di fantasia. Restano i cristiani, che, tolte le molte comparse, si riducono a sei: Dudone e Ricciardetto, Astolfo ed Ulivieri, Orlando e Rinaldo. I due primi sono poco più che mere comparse; il terzo e il quarto sono abbozzi. Astolfo, quando apparisce, sembra destinato ad essere il buffone del poema: è valoroso, ma non tanto da non cadere talora di cavallo; è bravo, affezionato, allegro. Conduce alcuni prigioni in una badia, e vuole che il priore li impicchi. I monaci fanno il vezzoso; ma egli prende una mazza,

F. de Sanctis, La poesia cavalleresca. 3