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iv. l’«orlando innamorato» 6i

Matteo Maria Boiardo non è un uomo volgare. Era conte, con vassalli, feudi e castelli, e dipendeva nominalmente dal duca di Ferrara. Boiardo non era obbligato, come Pulci, ad intrattener le brigate, a far da buffone; si degnava quando leggeva squarci del suo poema. Nacque in tempi in cui cominciava a non bastare l’esser conte, ma bisognava inoltre aver qualità intellettuali e morali: credette che l’esser conte non bastasse: studiò e fu laureato in legge e filosofia; poi continuò da sé, traducendo dal greco, componendo in latino, sobbarcandosi a tutti quei lavori primordiali che assuefanno alla fatica ed alla perseveranza. Formatosi con questi studi, scrisse una commedia, capitoli e sonetti mediocri per l’esecuzione nulli pel concetto, e, finalmente, concepí l’Orlando innamorato.

Un poema epico è stimato come il più alto monumento artistico d’un popolo. Gl’Italiani, nobilmente desiderosi d’emulare le letterature antiche, ne volevano uno; quindi lo sdegno contro il Pulci e quella critica che tormentò il Boiardo, l’Ariosto ed il Tasso. La stessa brama durò in Francia fino al secolo decimottavo, e fu per appagarla, che Voltaire scrisse l’Enriade.

Boiardo scelse la Cavalleria per subietto d’un poema serio. Ma evvi serietà in quel contenuto? In Italia, ve l’ho già detto, era impossibile che ne avesse più. Non poteva la Cavalleria aver nulla di serio, che, o come principio religioso, rappresentando la lotta fra il Maomettismo ed il Cristianesimo, o come istituzione politica. Il tempo delle Crociate era passato; il papato era screditato ed attaccato; le classi colte stavano in aperta opposizione; la Riforma rumoreggiava già in aria. Se il Boiardo medesimo non era un miscredente, non era neppure sinceramente religioso, come Tasso: accettava la religione come un fatto di cui aveva perduto lo spirito: quindi benché la lotta in realtà sia fra maomettani e cristiani, avviene per la conquista d’un brando o la vendetta d’un padre, non per motivi pii. Mancano elementi religiosi, che costituiscano una forza interna. Non v’è neppure culto per la Cavalleria. Come conte, conosceva per filo e per segno tutte le usanze cavalleresche; ma ride delle sue invenzioni: cita Turpino come sicuro di