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86 | la poesia cavalleresca |
Il Berni corregge così:
Disse Agricane: — Io m’accorgo ben io Che tu vuoi de la fede ragionare; Io non so che si sia né ciel né Dio, Né mai, sendo fanciul, volsi imparare; Ruppi la testa ad un maestro mio. Che pure intorno mi stava a cianciare; Né mai più vidi poi libro o scrittura: Ogni maestro avea di me paura... — |
Eppure, in questo episodio, che potrebbe essere il résumé del Boiardo, ricco di qualità interne, ma povero d’immaginazione e forma, si sente germogliar l’Ariosto.
Pel Pulci tutto è buffoneria; pel Boiardo tutto è serio. Nell’Ariosto i due elementi sono siffattamente fusi, che tutti i critici hanno esitato trattandosi di giudicarlo; e mentre ai suoi tempi se ne volle fare un poema perfettamente serio per contrapporlo al poema del Tasso, al nostro i critici l’hanno tenuto come un poema perfettamente ironico. Ecco il sostanziale del poema d’Ariosto. Nella Cavalleria vi sono due parti. L’una convenzionale, che appartiene a que’ tempi circoscritti, e comprende gli usi de’ cavalieri erranti: questa è tutta morta e soggiace all’ironia di Ariosto. Ma, accanto a questo meraviglioso sociale e transitorio, ci è un elemento umano immutabile, serio. Quegli individui non sentono e non si esprimono altrimenti che noi. L’Ariosto mette inesorabilmente in caricatura (e in caricatura non grossolana come quella del Pulci) la parte sociale; ma, accanto a questa parte sociale, ha posta tutta una piena di sentimenti, rappresentati con tutta la serietà con cui si rappresenta la società moderna; e tutto questo è compenetrato e fuso, sicché le diverse parti formino una sola personalità organica.
Nel Cervantes abbiamo da un lato Don Chisciotte che rappresenta la parte ridicola e dall’altro delle novelle che rappresentano la parte seria. In Ariosto le due parti sono fuse. Questo poema è l’ironia del maraviglioso sociale cavalleresco (soggetto