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294 | dai riassunti delle lezioni a zurigo |
Lezione VI
[Monotonia del sentimento dell’amore.
Sguardo delle anime alla terra: Piccarda e Giustiniano.]
Finché si rimane nel campo delle forme, non si esce dal descrittivo, dalla natura. Bisognava animar queste forme, dar loro sentimenti e pensieri. Questo nella forma spontanea ve l’ho mostrato nell’angelo e nell’uomo. Come le forme si concentrano nella luce, cosí i sentimenti si unificano nell’amore inesausto senza fine, comune a tutti. L’individuo vanisce nel genere; della tragedia rimane il solo coro; suonano, cantano, ballano; ma in quei suoni e in quei canti non vi è niente che si riferisca al tale ed al tale; le luci entrano le une nelle altre; ed il poeta trova parole bizzarre per esprimere questa compenetrazione: «s’inluia», «t’inlei», «intuassi», «immiassi», «s’india» ecc. Che cosa è dunque divenuta l’anima? Un sol calore di molte bragie, un solo odore di molti fiori, l’individuo naufragato nel mare dell’essere.
Cosi un sol calor di molte brage Si fa sentir, come di molti amori Usciva solo un suon di quella image. |
In questa evaporazione del sentimento non trovi piú quella varietá che costituisce la vita interna; e basterá a vedere questa successiva evanescenza della forma, osservando Francesca, Pia e Piccarda. La prima esprime tutte le sue passioni terrene, e vi si innebbria; l’altra le indica appena, ma sono tocchi che ti richiamano tutto il quadro; in Piccarda il terreno è affatto svanito; vi è l’azione, non vi è piú il sentimento.
Uomini poi a mal piú che a bene usi Fuor mi rapiron della dolce chiostra; Dio lo si sa qual poi mia vita fusi. |