Vai al contenuto

Pagina:De Sanctis, Francesco – Lezioni sulla Divina Commedia, 1955 – BEIC 1801853.djvu/393

Da Wikisource.

esposizione critica della divina commedia 387


Il Purgatorio è comunemente meno pregiato del l’Inferno, comeché da questo avviso si discostino alcuni moderni critici; e, tra gli altri, il Balbo è ito sí lungi che non ha dubitato di preporre alla prima la seconda cantica, guidato per avventura meno dal vero, che da amore di contraddizione e di parte. Porre a ragguaglio l’Inferno col Purgatorio e dolersi che nell’uno manchino que’ pregi e quelle qualitá che si lodano nell’altro è, a parer mio, tanto vana e pueril cosa, quanto il paragone che tenne tanto tempo sospesi i nostri critici tra l’Orlando e la Gerusalemme: perocché, quantunque le due cantiche sieno fattura della stessa mente, pure è tra esse intrinseoa differenza di concetto e quindi di forma; e in questo mi è avviso stia il miracolo dell’ingegno dantesco, essendo le tre cantiche tre mondi, tre poemi, tre poesie diverse. Il Purgatorio non può essere altro da quello che è, o vogli considerarlo come parte del tutto o come totalitá per se stessa: tal concetto, tal forma.

Il Paradiso.


Il paradiso è l’apoteosi dello spirito, la trasfigurazione di Cristo, il trasumanare, come dice il poeta, o, in forma positiva, il divino. La bellezza è la rappresentazione del divino, la materia trasfigurata ed indiata; sicché il divino puro trascende l’immaginazione, ed è di lá dalla poesia. Esso non può essere obbietto che di brevi lavori lirici, i quali contengano non la descrizione di cosa che è al di sopra della forma; ma la vaga aspirazione dell’anima «a non so che divino»: ed anche allora l’obbietto del desiderio, quantunque in una ideale indeterminazione, riceve la sua bellezza dalle immagini, come nelle due celesti poesie di Schiller, l’Aspirazione e il Pellegrino.

                               Mira il ciel com’è bello e mira il Sole,
Che a sé par che n’inviti e ne console.
     

La presenza di Dante ancora mortale nel paradiso porgegli modo di rappresentare il divino umanamente: ché, essendo egli