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pier delle vigne | ii5 |
primo saggio ne avete nelle parole dello spirito. Anche Virgilio fa parlare la sua pianta:
Quid miserum... lacerasi Jam parce sepulto: Par ce pias scelerare manus... Nam Polydorus ego. |
È Polidoro che parla ad Enea; hanno comune la patria, la famiglia e tante rimembranze e tanti dolori: la pietá nasce da accidenti particolari. Ma in Dante è un ignoto che parla ad ignoto e la pietá scaturisce da una fonte ben più profonda. È una pietá tutta umana; l’homo sum, la natura umana miserabilmente capovolta e declinata a pianta, l’uomo che in luogo di dire: — Perché mi ferisci? perché mi trafiggi? — è ridotto a dire: — Perché mi schiante? perché mi scerpi? — È una pietá che ha la sua radice nel fondo stesso della situazione, quale si sia l’uomo che parli. E la pietá si leva fino allo strazio, quando il concetto esce fuori in un vivace contrasto; è il qualis erat! quantum mutatus ab ilio! il «fummo» e il «siamo fatti»:
Uomini fummo, ed or sem fatti sterpi: Ben dovrebb’esser la tua man più pia, Se state fossim’anime di serpi. |
È un ignoto che parla ad ignoto; ma è un uomo che parla ad uomo.
Tra questi due esseri passionati, tra lo spirito sdegnoso e gemente e Dante attonito, sorge la figura pacata di Virgilio. Nella sua parola calma tu vedi l’uomo superiore, a cui è chiaro ciò che a Dante è incomprensibile, e che sa intendere e compatire al dolore dell’altro:
S’egli avesse potuto creder prima, Rispose il Savio mio, anima lesa. Ciò ch’ha veduto pur con la mia rima. Non averebbe in te la man distesa; Ma la cosa incredibile mi fece Indurlo ad ovra, che a me stesso pesa. |