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248 saggi critici

diviene scopo di un lavoro, cessa di essere arbitrio o licenza, ed acquista un significato serio; acquista un limite, non è piú il puro illimitato.

L’«umore» è una forma artistica, che ha, per suo significato, la distruzione del limite, con la coscienza di essa distruzione.

La distruzione del limite. E, perciò, questa forma comparisce ne’ momenti di dissoluzione sociale; né, mai, ha avuto un’esplicazione si ricca e si seria, come ne’ nostri tempi. Che limite ci resta piú? Di religione? Il secolo decimottavo e Voltaire ci hanno passato al di sopra. Di filosofia? L’un sistema non attende l’altro. Di letteratura? Il romanticismo fa la baia al classicismo. Non vi è piú «si» senza il suo «no» dirimpetto; non affermazione, che non trovi, di rincontro, la sua negazione. In tanto disfacimento di principii, in tanto discredito di ogni regola, di ogni limite, che cosa è avvenuto?

Finché non abbiamo avuto una chiara coscienza di questa dissoluzione, io «sí» e tu «no» ci siamo accapigliati, ciascuno con piena fede, io, nel mio «sí», tu, nel tuo «no». È stato tempo di polemiche, di battaglie omeriche. Bel guadagno che ne abbiamo cavato! A forza di gridare è andato in dileguo il mio «sí» ed il tuo «no». Certo, accanto a questo, vi è un lavoro di rinnovamento e di trasformazione, che ha, anch’esso, la sua espressione letteraria. Ma, poiché il primo movimento negativo ha avuto luogo, è naturale che esso abbia avuto la sua manifestazione, nella scienza e nell’arte, per esempio, in Proudhon ed in Heine.

Il mio «sí» ed il tuo «no» è ito in dileguo: affermazione e negazione sonosi distrutte a vicenda; rimane il vuoto, l’illimitato; il sentimento che niente vi è di vero e di serio, che ciascuna opinione vale l’altra. Allora, non solo ci è la distruzione di ogni limite, ma la coscienza di essa distruzione.

Proudhon ed Heine, ultimi di questa serie, hanno con piú profonda coscienza rappresentato questo fatto, accettando l’illimitato, come la condizione del progresso e della vita sociale.