Pagina:De Sanctis, Francesco – Saggi critici, Vol. II, 1952 – BEIC 1804122.djvu/302

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nata ispirano simpatia e affetto. Sul suo letto di foco, chiuso nella tomba, gli giunge all’orecchio il parlare toscano, e di uomo vivo, e balza in piè:

                              

Ecco lá Farinata che si è dritto.

                              
Un cittadino toscano, la loquela del suo paese, la sua Firenze, le piú care memorie gli si affollano nell’anima, e rammorbidiscono la sua fiera natura e danno al suo accento non so che gentile, l’accento della preghiera. In questa onda di dolci sentimenti si lava e si purifica ciò che è duro ed eccessivo nell’anima appassionata dal partigiano, e sente rimorso, quasi rimorso di aver potuto come capoparte esser molesto alla sua patria, alla sua « nobil patria»:
                                    O Tosco che per la cittá del foco
Vivo ten vai, cosí parlando onesto,
Piacciati di ristare in questo loco.
     La tua loquela ti fa manifesto
Di quella nobil patria natio.
Alla qual forse fui troppo molesto.
                         
«Forse»! sono le sfumature e le delicatezze dell’anima, che balzan fuori in modo spontaneo e irriflesso, evocate da fatti inaspettati e cosí ingegnosamente inventati. L’improvviso è espresso fino in quel subito erompere delle parole, prima ancor che noi sappiamo onde vengano e da chi. Se Farinata dicesse: — Io fui molesto alla mia patria, — sarebbe un giudizio giá fatto e vagliato e determinato. Ma questo concetto gli si presenta ora la prima volta innanzi, colto all’ improvviso da una di quelle gagliarde impressioni che mettono l’anima a nudo, e sotto la pressione di dolci sentimenti gli esce dalla bocca una confessione in quella prima forma provvisoria di un giudizio nuovo e improvviso che non si è avuto il tempo di esaminare. Il Leopardi diceva che niente è piú poetico del «forse». Ed io aggiungerò: e niente piú profondo; riferendosi alle gradazioni piú fuggevoli e piú delicate dell’anima. «Fui molesto», ti dá un giudizio assoluto e astratto; «forse fui mo-