Pagina:De Sanctis, Francesco – Saggi critici, Vol. III, 1974 – BEIC 1804859.djvu/186

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come la natura. Nell’Anacreonte è un sublime a rovescio, il Fato onnipotente giú, e il Savio sul piedistallo:

                                         Saggiu è cui disiu nun stenni
Fora mai di la sua sfera,
E nun cura li vicenni
Di la sorti lusingherá.
     Chi sa cogghiri l’istanti
Menu amari di la vita,
L’autri annega tutti quanti
’Ntra ’na malaga squisita:
     O ’ntra un siculu licuri,
Chi la facci avviva ’n russu,
E li cancari e li curi
Manna tutti in emmaussu.
     S’inflessibil’è lu fatu,
Cosa mai sperami d’iddu?
Sia benignu, sia sdegnatu,
Mancia caudu e vivi friddi. (Viva ilaritá)
               

Il piccante è questo appunto, un concetto cosí serio nell’apparenza frivola di un mero scherzo. Altrove è la Natura, che invita a seguirla Martino, invescato nell’impuro aere della cittá.

La Natura gli rappresenta le stie bellezze, e ci è tale magia di stile, che sei in piena orchestra, tra’ motivi piú varii della bellezza campestre. Ecco uno slancio Urico, che si chiude con una immaginetta: Amore che acconcia il nido a una tortorella:

                                         Veni, dilettu, veni,
La Matri tua ti chiama
Ntra li vuschiti ameni,
Sutta ’na virdi rama.
     La paci in cui mi fidu
Trovi cu mia sulidda,
E Amuri chi lu nidu
Conz’a ’na turturidda.