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ZOLA E L’«ASSOMMOIR»


L’Assommoir ha avuto, dicono, quarantasei edizioni. Se ne è fatto un dramma, rappresentato a Parigi e a Napoli, e mi assicurano che abbia avuto molto successo, che il pubblico abbia molto applaudito, soprattutto la lotta fra le due lavandaie, e anche il «delirium tremens».

Ma mi è stato riferito pure che nel dramma manca la prima scena: se è cosí, l’autore ha pensato all’effetto; ma ha soppressa quella scena che è la base di tutto il racconto. Lasciate dunque che io vi ponga sott’occhi questa prima scena.

Ecco li una camera ammobigliata, in un albergo di terzo o quarto ordine, come se ne vedono parecchi nei quartieri bassi di questa cittá: un albergo, che si chiama Boncoeur, come volesse dire: qui non ci è che buon cuore.

Pure, questa stanza è la migliore dell’albergo, perché è la sola che guardi sulla strada. In fondo si vede una valigia molto grossa, ma coi fianchi sgonfiati: si indovina che molta roba è stata venduta o impegnata: si vedono parecchie cartelle di pegno sul camino. A due chiodi pendono uno sciallo tutto buchi e un calzone mangiato dal fango.

Vedi un vecchio cassettone, a cui manca un cassone; una lurida tavola in mezzo, con sopra una brocca d’acqua; un lettino di ferro, dove sullo stesso guanciale dormono due bambini, e il piú piccolo ha il viso che ride e il braccio intorno al collo dell’altro. Alla finestra ci è una giovane affacciata, discinta