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l’ugolino di dante 33

di Ugolino: l’incertezza del suo destino e l’accanimento de’ suoi nemici. Ciò che piú strazia il prigioniero, è il dubbio, è il «che sará di me?»; la fantasia esagitata da’ patimenti e dalla solitudine si abbandona alle speranze e a’ timori. Ugolino ignora la sua sorte, e teme e spera: l’idea della morte non può cacciarla da sé. E rimane in quest’ansietá, quando viene «il mal sonno» che gli «squarcia il velame» del futuro. Il poeta di tutta questa storia intima non esprime che l’ultima frase, la quale ad un lettore anche di mediocre immaginazione fa indovinare il resto, ma in quel modo vago e musicale che è il maggiore incanto della poesia. Il «mal sonno»! Quel «mal», quella imprecazione e maledizione al sonno fa intravvedere quante speranze esso ha distrutte, quante illusioni ha fatte cadere! Il sogno è un velo, dietro al quale è facile vedere le agitazioni della veglia: il reale si rivela sotto al fantastico. Ruggiero, Gualandi, Sismondi, Lanfranchi stanno presenti innanzi al prigioniero, crudeli in sé e ne’ figli, e ora gli appariscono in sogno cacciando il lupo e i lupicini; l’occhio vede animali, ma l’anima ente confusamente che si tratta di sé e de’ suoi figliuoli, e quel lupo e quei lupicini si trasformano con vocabolo umano in o padre e figli». L’uomo in sogno quando s’immagina di essere inseguito e vuol correre, come sta immobile in letto, gli pare che le gambe sieno indolenzite e tarde al corso. Quel povero lupo non è che il padre e non può correre e si sente giá ne’ fianchi «le acute zane»:

                                    In picciol corso mi pareano stanchi
Lo padre e i figli, e con le acute zane
Mi parea lor veder fender li fianchi.
                         

Qui entrano in iscena nuovi attori; Ugolino non è solo; compariscono i figli proprio nel momento della crisi, e per piú strazio. Anch’essi sognano; sentono fame e domandano pane. Il padre congiunge il suo sogno con quello de’ figli, e l’ultima sua impressione è: morire, e morir di fame! Questo è ciò che «si annunziava» al suo cuore. E gli par cosí chiaro, che non

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De Sanctis, Saggi critici.-iii