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68 saggi critici


Ora che l’abbiamo innanzi, siamo in grado di compiere i giudizii de’ due scrittori tedeschi e assegnare al dramma il suo posto nella storia dell’arte.

L’ordito è semplicissimo. Un giovane, volendo salvarsi l’anima, abbandona la famiglia e va al deserto e si fa a servire un romito. Colui, che lo vede cosí fervente nelle buone opere, chiede a Dio qual posto gli sia assegnato in paradiso. L’Angiolo risponde: — È dannato — . Rimane il buon romito stupefatto, pensando che le buone opere non bastano alla salute dell’anima, e si rammarica della sua presunzione a voler penetrare i secreti di Dio, e si addolora della triste sorte serbata al novizio. Ma costui rimane a quella notizia tranquillo, e non si pente de’ suoi buoni propositi, e caccia da sé le tentazioni del demonio, con invitta fede in Dio, e deliberato di fare in tutto il piacer suo, quando anche il piacer suo fosse di andare in inferno. Allora si ode un nuovo annunzio dell’Angiolo: — È salvato! — . S’intuona il Te Deum, e il dramma si conchiude con un fervorino al pubblico, perché imiti il novizio, dispensando il breve tempio che n’è dato «in opre degne e di virtute»

Come si vede, il concetto del dramma non è né quello che vuole Ebert, né quello che vuole Klein.

Ebert dice: — Il concetto è: abito non fa monaco. Non basta esser monaco o romito: bisogna operare virtuosamente — . Or di tutto questo, fuori che nell’esordio, non è sillaba nel dramma. Il novizio opera virtuosamente prima e dopo, e ciò che spaventa il romito, è questo: che il suo novizio mena una santa vita, e ciò non ostante è dannato, e che Dio contra ogni giustizia possa «voler dannare quelli che ben fanno», e per contrario: «salvare quelli che mal fanno». È la volontá di Dio sostituita alla giustizia: cosa che gitta in confusione la mente del romito, che per fuggire alle strette della logica ripudia la ragione e cerca un rifugio nella fede:

                               Perché dov’è ragion manca la fede.