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in via, con un’apostrofe improvvisa e supplichevole a quel «ma», che lo trattiene:

                                              Dolor, perché mi meni
Fuor di cammin a dir quel ch’i’ non voglio?
Sostien ch’io vada ove ’l piacer mi spigne.
     
Non c’è ancora entusiasmo, né afletto; ma senti giá qualche cosa che si move al di dentro, la senti a questa spiritosa galanteria:
                                         Luci beate e liete;
Se non che ’1 veder voi stesse v’è tolto:
Ma quante volte a me vi rivolgete,
Conoscete in altrui quel che voi siete.
     
È un tratto finissimo, di concetto e di espressione, uno di quei tratti che rimangono. Avviatosi male, il poeta resta ne’ confini della galanteria, salvo qualche lampo di tenerezza. Rapporti ricercati, conseguenze esagerate, concetti appena formati, esprimono una certa lassitudine e pigrizia dell’anima, scontenta del fatto e poco disposta al rifare. C’è nondimeno qua e lá qualche verso, qualche tratto febee che t’arresta. Ecco un verso proverbiale:
                                         Lo star mi strugge, e ’l fuggir non m’aita.      
Qui senite ne’ suoni rotti e affannosi e lenti lo strazio interno. Troverete al contrario una elegante semplicitá in questo tratto galante:
                                         Io per me son quasi un terreno asciutto.
Colto da voi; e ’l pregio è vostro in tutto.
     

Questa prima canzone si può considerare come una masticazione, una lunga preparazione. Il poeta non è ancora nel soggetto; vi gira e scherza intorno. Ma negli uomini d’ingegno il cervello a poco a poco si mette in esercizio e prende un dolce calore. La sensibilitá, l’immaginazione si risveglia; e le idee si succedono con tanta facilitá e precisione, che sembra non siate