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i42 saggio critico sul petrarca


sieme un aspetto di pompa e di maestá! Ma non ci senti per entro il soffio delle passioni: ci ha sforzi di dolore, di collera, d’entusiasmo, sforzi mancanti. E ci senti un’immaginazione stracca, che scintilla qua e lá, e poi s’abbandona. T’abbatti in certi punti di una grande bellezza, che sono come avanzi mutilati d’una bella statua antica: il resto c’è appiccato col gesso.

La canzone sulla guerra santa e l’altra sulla gloria sono della stessa natura, ancora piú sotto. Di bei versi che restano, alcuni pensieri o immagini ingegnose, fino magistero d’elocuzione; niuna vera ispirazione, sotto il mantello del poeta l’erudito.

Di ben altro valore è la canzone all’Italia1, il primo fiore



  1.                                          Italia mia, benché ’l parlar sia indarno
    Alle piaghe mortali
    Che nel bel corpo tuo si spesse veggio,
    Piacemi almen ch’e’ miei sospir sien quali
    Spera ’l Tevere e l’Arno,
    E ’l Po, dove doglioso e grave or seggio.
    Rettor del del, io cheggio
    Che la pietá che ti condusse in terra.
    Ti volga al tuo diletto almo paese:
    Vedi, Signor cortese.
    Di che lievi cagion che crudel guerra;
    E i cor, che ’ndura e serra
    Marte superbo e fero.
    Apri tu. Padre, e ’ntenerisci e snoda;
    Ivi fa che ’l tuo vero
    (Qual io mi sia) per la mia lingua s’oda.
         Voi, cui Fortuna ha posto in mano il freno
    Delle belle contrade,
    Di che nulla pietá par che vi stringa,
    Che fan qui tante pellegrine spade?
    Perché ’l verde terreno
    Del barbarico sangue si dipinga?
    Vano error vi lusinga.
    Poco vedete, e parvi veder molto;
    Che ’n cor venale amor cercate o fede.
    Qual piú gente possedè,
    Colui è piú da’ suoi nemici avvolto.
    O diluvio raccolto
    Di che deserti strani
    Per inondar i nostri dolci campi!
    Se dalle proprie mani
    Questo n’avven, or chi ha che ne scampi?