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i44 | saggio critico sul petrarca |
riscono stanche e logore nelle altre canzoni, qui splendono con l’incanto della luce che la prima volta esca dalle mani di Dio.
L’Italia qui non è il vano tema, e neppure un accessorio
Vano, senza soggetto: Che ’l furor di lassú, gente ritrosa. Vincerne d’intelletto. Peccato è nostro e non natural cosa. Non è questo ’l terren ch’i’ toccai pria? Non è questo ’l mio nido, Ove nudrito fui si dolcemente? Non è questa la patria in ch’io mi fido, Madre benigna e pia. Che copre l’uno e l’altro mio parente? Per Dio, questo la mente Talor vi mova; e con pietá guardate Le lagrime del popol doloroso. Che sol da voi riposo, Dopo Dio, spera: e, pur che voi mostriate Segno alcun di pietate, Virtú contra furore Prenderá l’arme; e fia ’l combatter corto: Che l’antico valore Nell’italici cor non è ancor morto. Signor, mirate come ’l tempo vola, E si come la vita Fugge, e la morte n’è sovra le spalle. Voi siete or qui: pensate alla partita; Che l’alma ignuda e sola Conven ch’arrive a quel dubbioso calle. Al passar questa valle. Piacciavi porre giú l’odio e lo sdegno, Venti contrari alla vita serena; E quel che ’n altrui pena Tempo si spende, in qualche atto piú degno, O di mano o d’ingegno. In qualche onesto studio si converta: Cosi quaggiú si gode, E la strada del ciel si trova aperta. Canzone, io t’ammonisco Che tua ragion cortesemente dica; Perché fra gente altera ir ti conviene, E le voglie son piene Giá dell’usanza pessima ed antica Del ver sempre nemica. Proverai tua ventura Fra magnanimi pochi, a chi ’l ben piace: Dí lor: chi m’assicura? I’ vo gridando: pace, pace, pace. |