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v - i misteri e le visioni | 101 |
di un grande sviluppo artistico. Ma in quel suo albore la letteratura ha lo stesso carattere che mostra nella decadenza: la naturalitá o materialitá del contenuto. Tante vite e storie e leggende e visioni stuzzicavano la curiositá con la varietá e novitá degli accidenti, e si attendeva più allo spettacoloso, a colpire l’immaginazione con apparizioni nuove e maravigliose, che a lavorarle e svilupparle. Mancava la virtú di mettersi gli oggetti a distanza e trasformarli: la realtá, anche nuda, era per se stessa maravigliosa e bastava ad ottenere l’effetto, operando in modo semplice e immediato sullo scrittore e su’ lettori.
Oltreché, siccome il contenuto riposava su di una dottrina liturgica, stabilita e inalterabile, poco era accomodato ad una rappresentazione libera e artistica, anche quando usciva dalla chiesa e dal convento ed era maneggiato da’ laici, come fu anche de’ «misteri». Impadronirsi di quel contenuto, cacciarlo dalla sua generalitá, dargli corpo e persona, sarebbe sembrata una profanazione. Lo spirito mirava a rendere accessibile quella dottrina per via di esempli, di sentenze e di allegorie, come si vedea nella Bibbia. Il reale, il concreto non avea valore se non come figura della dottrina. Ecco ad esempio in che modo è nella Commedia dell’anima figurato il paradiso:
In su quel monte dove sta il Signore v’è una fontana traboccante e bella, che sempre getta un mirabil liquore. D’oro e d’argento n’è la sua cannella, le sponde di smeraldi e d’oro fine, e tutta la Cittá circonda quella. Salite al monte, o alme peregrine, salite al monte, e lassú trovarete soprabbondanti le grazie divine. |
Le ultime parole spiegano la figura. Quella è la fontana della divina grazia. Con questa tendenza lo scrittore sta contento alla semplice personificazione e gli pare di aver fatto assai a dare una immagine che renda chiaro e sensibile il suo concetto. Oltre a ciò, l’uomo colto, schivo delle forme semplici e volgari dell’umile credente, mira a trasformare quella dottrina in un