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VIII


[Impressione prodotta dal poema di Dante — La nuova generazione: lo studio dei classici e il gusto della forma — Francesco Petrarca — Aurora del Rinascimento — La coscienza romana: la canzone all’Italia — La latinitá e V Africa — Esterioritá fittizia e interioritá reale del Petrarca — Parziale progresso sul mondo dantesco: la rappresentazione della donna e dell’amore — Contrasto tra teoria e sentimento — La bellezza: Laura come dea — La morte e l’umanarsi di Laura — Le rime in vita di Laura: parti convenzionali e concettose, e parti vive e poetiche — Contraddizioni, fluttuazioni e fantasticherie — Mancanza di profonda e virile coscienza dei contrasti — Compiacenza d’artista — La bella forma e la malinconia — Divario della malinconia petrarchesca da quella del medio evo e di Dante — Laura morta e la calma elegiaca — Il Petrarca tra il vecchio e il nuovo: la malattia del Petrarca.]

Dante mori nel 1321. La sua Commedia riempe di sé tutto il secolo. 1 contemporanei la chiamarono «divina», quasi la parola sacra, il libro dell’altra vita o, come diceano, il «libro dell’anima». Un tale Trombetta, quattrocentista, la mette fra le opere sacre e i libri dell’anima «da studiarsi in quaresima», come le Vite de’ santi padri, la Vita di san Girolamo. Il popolo cantava i suoi versi anche in contado, e pigliava alla semplice la sua fantasia. I dotti ammiravano la scienza sotto il velo delle favole, quantunque alcuni austeri, come Cecco d’Ascoli, quel velo non ce l’avrebbero voluto. E Fazio degli Liberti credè di far cosa piú degna rimovendo ogni velo ed esponendoci arida scienza nel suo Dittamondo, «dieta mundi». L’impressione non fu puramente letteraria. Ammiravano la forma squisita, ma tenevano il libro piú che poesia. Vedevano