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22 | storia della letteratura italiana |
questo patto non fina1, ed io tutt’ardo e incendo. La voglia mi domanda cosa che non suole, una luce piú chiara che ’l sole; per ella vo languendo. |
In queste rappresentazioni schiette dell ’animo, e non astratte e pensate, ma in casi ben determinati e circoscritti, il poeta è sincero, vede con chiarezza istintiva quello s’ha a fare e dire, come fa il popolo, e non esprime i suoi sentimenti, perché non ne ha coscienza, tutto dietro alle cose che gli si presentano, dette però in modo che ti suscitano anche le impressioni provate dal poeta. A lui basta dire il fatto e la sua immediata impressione, senza dimorarvi sopra, parendogli che la cosa in se stessa dica tutto: semplicitá rara ne’ meridionali, dov’ è maggiore espansione, ma che è qualitá principale del parlare fiorentino. Uno stupendo esempio trovi in questo sonetto della Compiuta donzella fiorentina, la divina Sibilla, come la chiama maestro Torrigiano:
Alla stagion che il mondo foglia e fiora, accresce gioia a tutti fini amanti: vanno insieme alli giardini allora che gli augelletti fanno nuovi canti. La franca gente tutta s’innamora, ed in servir ciascun traggesi innanti, ed ogni damigella in gioí’ dimora, e a me ne abbondali smarrimenti e pianti. Ché lo mio padre m’ha messa in errore2 e tienemi sovente in forte doglia: donar mi vuole a mia forza signore. Ed io di ciò non ho disio né voglia, e in gran tormento vivo a tutte l’ore: però non mi rallegra fi or né foglia. |